Fondazione Marisa Bellisario

PASSAGGIO IN INDIA

di Ornella del Guasto*

Nel convulso avvicendarsi degli eventi sui due fronti mondiali di crisi sono passate in sottotono le elezioni in India uno dei membri della BRICS (acronimo di Brasile, Russia, India, Cina, Sudafrica, a cui di recente si sono aggregati Iran, Emirati, Arabia Saudita, Egitto ed Etiopia) che sta diventando uno dei Paesi più dinamici del nostro tempo: “negli ultimi 3 mesi del 2023 i dati pubblicati hanno dimostrato che il Pil indiano è cresciuto dell’8% e sta ulteriormente accelerando staccando il resto del mondo” – confermano gli economisti di Barclays. Al dettaglio, nell’ultimo trimestre il settore manifatturiero è cresciuto dell’11,6%, quello delle costruzioni ha superato il 9% e gli investimenti di oltre il 10% e anche i consumi privati, che in India valgono il 60% del Pil, sono risultati in ripresa di + 3,5% rispetto al +2,4% del trimestre precedente. Dati meno incoraggianti vengono dal settore agricolo, che rappresenta il 15% del Pil e impiega circa il 40% dei lavoratori, che su base trimestrale ha subito una contrazione dello 0,8% contro il +1,6%, un dato che ha riacceso tra i critici del Governo il dibattito sulla forma assunta dalla ripresa economica indiana del post pandemia, e cioè che mostrerebbe una sensibile divaricazione dei destini tra chi riesce a capitalizzare sulla forte crescita dei settori più dinamici e chi invece a causa dell’inflazione, dei tassi di disoccupazione, dei bassi livelli retributivi e di istruzione viene spinto ai margini della società .

Le elezioni politiche per la Lok Sabha, la Camera Bassa del Parlamento indiano che sceglie il Premier, che si svolgono ogni 5 anni, erano iniziate il 19 aprile solo in 2 Stati indiani perché sono state necessarie 7 tornate elettorali per consentire via via a tutti gli altri stati dell’immenso Paese di votare, e quindi si sono protratte fino al 1 di giugno, diventando il più grande esercizio democratico del mondo. I risultati finali complessivi dopo un mese e mezzo sono stati resi noti dopo 3 giorni dalla chiusura degli scrutini attraverso le EVM, i congegni elettronici che sostituiscono le schede e che comunicano in poche ore al calcolatore centrale le scelte politiche dei milioni di elettori. Poiché una parte consistente della popolazione risiede in zone remote, l’organizzazione elettorale aveva anche previsto uno spostamento continuo delle cabine elettorali utilizzando tutti i mezzi di trasporto possibili, compresi cavalli, barche e dove necessario anche elefanti.

Gli scrutini hanno coinvolto circa 700 milioni di aventi diritto, il 10 % della popolazione mondiale tra cui una consistente componente di neomaggiorenni, una new entry che costituiva una delle incognite più interessanti perché la Commissione elettorale ha calcolato che sono stati 18 milioni gli elettori che hanno votato per la prima volta dato che l’India è un Paese giovanissimo con un’età media di circa 28 anni. Giovani, soprattutto i più istruiti, che chiedono lavoro e prospettive e probabilmente sono stati loro a far saltare tutti i sondaggi internazionali che garantivano il trionfo di Modi.

Come previsto Narendra Modi ha conquistato il terzo mandato ma si è trattato di una vittoria amara se lo scopo della consultazione doveva essere indirettamente un referendum sui dieci anni del suo governo incentrati su sviluppo economico e orgoglio indù. Il suo partito il Bjp, Bharatiya Janata Party, non ha trionfato come previsto e anzi risulta indebolito perché ha perso un quarto dei seggi, mentre l’Indian National Congress (Inc) il partito del Congresso che guida i partiti di opposizione sotto l’acronimo I.N.D.I.A. ha quasi raddoppiato i seggi (passando dai 52 del 2019 al centinaio di oggi). Il volto dell’Inc è Rahul Gandhi, con un’importante storia familiare di ex Primi ministri, eletto nel 2019 in Parlamento dove però fu presto espulso perché giudicato colpevole di diffamazione in una causa intentata da un membro del Bjp di Modi, e solo successivamente reintegrato attraverso il ricorso alla Corte Suprema. Modi quindi che contava di non aver bisogno di nessuno, per governare, dovrà affidarsi all’aiuto degli alleati, tra cui alcuni molto ambiziosi e poco affidabili.

I temi principali delle nuove elezioni hanno riguardato la disoccupazione, l’economia, l’agricoltura, l’ambiente e il Welfare. Ma un ruolo fondamentale lo ha giocato la religione perché il “nazionalismo induista” è il simbolo di identità nazionale che nella società indiana ha un ruolo così importante che Modi ha da sempre voluto presentarsi al Paese come il paladino degli induisti, la comunità religiosa maggioritaria in India che oggi costituisce anche la principale base di sostegno elettorale del Bjp. Questo non è piaciuto a molti cittadini soprattutto agli abitanti dell’Uttar Pradesh, lo stato più popoloso con 257 milioni di abitanti, la cui capitale è la città santa di Varanasi, dove ogni giorno migliaia di devoti scendono le famose gradinate per purificarsi nel Gange, ultimo stato a essere scrutinato e diventato sempre il più critico nei confronti del Governo: “usano la religione come un brand, affossando la spiritualità di questa città”. Ed infatti la più bruciante sconfitta per il Premier oggi è venuta proprio da questo Stato. Il fenomeno però non ha un carattere esclusivamente religioso tanto che anche durante queste elezioni puntualmente le tensioni tra induisti e musulmani si sono arroventate e diventate determinanti dal momento che si sono trasformati in pretesto per farvi confluire anche i cronici attriti identitari e nazionalisti risalenti soprattutto alla passata dominazione musulmana del Subcontinente indiano. Non a caso, dall’elezione di Modi nel 2014, oltre 200 milioni di indiani musulmani hanno infatti subito dure restrizioni, spesso diventate regola in alcuni Stati governati dal Bjp, politiche che hanno portato a condizionamenti e persino a divieti alla comunità musulmana di svolgere alcune attività sociali e commerciali fino alla criminalizzazione delle relazioni interreligiose. Tra luglio e agosto del 2023 alla periferia di Nuova Delhi, e in altre città, sono esplosi violenti scontri tra indù e musulmani, che hanno causato vittime soprattutto tra i fedeli musulmani perché in particolare due gruppi estremisti indù, organici politicamente e ideologicamente al Bjp, hanno represso con le armi le proteste di manifestanti islamici. Un precedente preoccupante che sta polarizzando la società indiana tra maggioranza indù e comunità musulmana in due realtà sociali difficilmente conciliabili.

La Commissione elettorale ha anche segnalato durante gli scrutini episodi di violenza nel Bengala Occidentale e nello Stato nordorientale del Manipur, dove gruppi di uomini armati hanno sfidato la presenza degli agenti di sicurezza circondando i seggi e facendo fuggire le persone che attendevano di votare. Le contestazioni erano soprattutto legate alla disinvolta interpretazione della democrazia di Modi che il 9 aprile, in coincidenza della fine del Ramadan musulmano, ha promulgato la controversa legge di cittadinanza che esclude i fedeli di religione islamica dalla regolarizzazione della cittadinanza concessa invece ad altri immigranti illegali indù, sikh, buddisti e cristiani. La legge in realtà era stata già approvata nel 2019 tra proteste sanguinose che avevano causato centinaia tra morti e feriti, attutite solo dall’arrivo del Covid che aveva offerto un utile pretesto per rinviare la promulgazione e lasciare placare gli animi. Ma a maggio 2024 Narendra Modi provocatoriamente ha preteso di farla diventare la sua “carta elettorale” proprio nel giorno della conclusione del Ramadan. A leggere il testo della legge sembrerebbe, come sostiene il Governo, che sia l’aiuto all’integrazione degli immigrati illegali arrivati in India prima del 31 dicembre 2014 che potranno da adesso andare al sito governativo per registrarsi e ottenere dopo 6 anni di attività lavorativa documentata, il passaporto indiano e non essere più espulsi, ma nell’elenco degli aventi diritto non sono citati i musulmani. Così gli oppositori stanno ricordando furiosi che storicamente la Costituzione indiana è “laica” e che quindi non si possono creare favoritismi su base religiosa mentre la nuova legge offre integrazione solo a chi appartiene alle “religioni giuste”.

Per questo, durante la campagna elettorale si è riaperta strumentalmente l’ennesima crisi del Kashmir, la porzione di territorio conquistato dal Pakistan nel 1947 durante la prima guerra fra i due Paesi che ciascuno rivendica nella sua interezza come proprio : “appartiene all’India, e lo riprenderemo” ha ammonito Amit Shah, ministro indiano degli Interni, scagliandosi contro i leader del partito del Congresso che hanno una posizione più morbida suggerendo di “non provocare il Pakistan perché ha la bomba atomica”. Shah invece ha trasformato in cavalli di battaglia elettorale del Bjp gli argomenti antimusulmani: “la scelta è tra Jihad e lo sviluppo” accusando il partito di Gandhi di favorire la minoranza musulmana

Ma non solo la religione ha avuto un peso dal momento che oggi è anche difficile, denunciano i giornalisti esteri, potersi occupare di argomenti sensibili: è il caso della giornalista australiana Avani Das, per due anni a Delhi come capo della redazione dell’Asia del Sud per la rete televisiva australiana Abc News, che si è vista negare dal ministero degli Esteri il rinnovo annuale del visto giornalistico perché un suo reportage sui separatisti Sikh, “aveva oltrepassato i limiti”. Il caso della Das è l’ultimo di una serie di visti giornalistici negati, o non più rinnovati, come quello della francese Vanessa Dougnac, costretta a gennaio a lasciare l’India dove lavorava da 22 anni, dopo che il Ministero degli Interni di Delhi ha cancellato il suo permesso di soggiorno permanente con la motivazione che i suoi articoli “davano una percezione negativa del Paese ed erano frutto di pregiudizi”. In rivolta molti corrispondenti stranieri di base in India che hanno chiesto ufficialmente al Governo indiano di “facilitare il lavoro vitale della stampa libera, in linea con le tradizioni democratiche dell’India”. Narendra Modi viene anche accusato di aver fatto cancellare dai libri di storia, usati da 40 milioni di studenti, diversi passaggi che andavano contro la narrazione del suo governo (la più recente revisione della storia è la quarta dal 2014 quando salì al potere). Tuttavia per quanto riguarda la politica internazionale, New Delhi “distingue con cura i nemici e gli amici anche tra i musulmani”: dopo la tragica fine del presidente iraniano Ebrahim Raisi anche l’India ha dichiarato un giorno di lutto nazionale e il vicepresidente indiano ha preso parte a Teheran alle cerimonie funebri. Il rilancio delle relazioni bilaterali è dipeso dal fatto che solo 9 giorni prima India e Iran avevano firmato un accordo decennale per lo sviluppo in partnership del porto di Chabahar, infrastruttura di rilevanza strategica perché oggi assicura all’India un accesso diretto all’Asia centrale e all’Afghanistan senza dover passare attraverso il nemico Pakistan. Una decisione che ha esposto Delhi alle sanzioni USA.

Comunque Modi oggi ha conquistato il terzo mandato, come nessuno prima di lui, e andrà avanti perché nonostante le critiche e il diffuso malcontento per gli alti tassi di disoccupazione e di inflazione, con lui l’India sta conquistando il rango di superpotenza. Infatti nonostante il permanere di enormi sacche di estrema miseria l’India sta crescendo e cresce anche la speranza negli indiani che le classi privilegiate presto servano progressivamente da traino per quelle emarginate. Secondo Global Economic Prospect, l’ultimo report della Banca Mondiale pubblicato l’11 giugno nel 2024 l’India sarà l’economia al mondo con la più rapida crescita registrando il +2,6% e il +2,7% nel biennio successivo. Un altro studio della Banca Mondiale diffuso in questi giorni di giugno riferisce che l’India ha ricevuto nel 2023 rimesse per 120 miliardi di dollari, in aumento del 7,5% su base annua e si prevede che nel prossimo anno fiscale cresceranno di circa un altro 4%. USA ed Emirati arabi sono i primi due Paesi di provenienza delle rimesse indiane che hanno anche una piattaforma che promuove l’uso di valuta locale per le transazioni tra i 2 Paesi, compresi i pagamenti elettronici. Queste previsioni positive erano state anticipate a fine maggio da un inserto del Corriere della Sera dedicato alla recente mostra del mobile e del design di Milano. Con la crescita del benessere è in ascesa anche il desiderio per gli indiani di avere case raffinate, un settore dove i marchi italiani stanno trovando uno spazio che aumenta anno dopo anno tanto che è previsto che il mercato del lusso triplicherà nei prossimi 6 anni perché la diffusione della ricchezza non sembra limitarsi più nelle città – vetrina di Mumbai e Delhi dove lo scorso anno il numero dei miliardari ha superato Pechino, ma si sta estendendo alle città minori. Secondo l’Ice l’Italia è il terzo fornitore di mobili in India con grandi margini di crescita. Un mercato diventato molto allettante per l’arredamento made in Italy, da Poltrona Frau a Poliform, da Rimadesio a Molteni, Giorgetti, Minotti ecc. Persino il celebre riso italiano Carnaroli, che da Vercelli ha preso da tempo la via dell’Asia, oggi punta soprattutto sull’India per la sua forte cultura del riso e il crescente apprezzamento del “made in Italy” anche nella ristorazione. La crescita dell’India quindi si muove in parallelo alla diffusione del benessere che certamente in un Paese così immenso è ancora lenta e diseguale, ma intanto procede. Il Resto verrà.

*Political and socio-economic analyst

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